E Se Fosse Natale Tutto l’Anno?

E SE FOSSE NATALE TUTTO L’ANNO?

C’è una provocazione sottile, quasi eversiva, nella domanda che dà il titolo a questa collettiva, rigorosamente a numero chiuso.

Non è un interrogativo ingenuo. Tutt’altro.

È una sfida ontologica lanciata contro la dittatura del tempo cronologico, quella frenesia che divora i minuti e ci costringe alla fretta, per invitarci invece ad abitare il tempo opportuno, il momento qualitativo della grazia e dell’incontro con l’altro e con noi stessi.

La mostra che si inaugurerà a Cremona il 7 dicembre, negli spazi di Gabetti Arte, non è semplicemente un’esposizione di opere, ma un manifesto visivo per ipotizzare una società rinnovata.

Guardiamo l’immagine nella locandina, una forma organica, aurea, che emerge dall’oscurità. È una foglia? Una fiamma? O forse una stella stilizzata?

Poco importa cosa sia, perché ciò che conta è la sua luminosità immanente.

Richiama alla mente il concetto di Natura Naturans di Spinoza, quella natura che non è scenario inerte, ma forza generatrice attiva, divina, perennemente accesa.

L’idea dei curatori, Pasquale Di Matteo e Daniela Belloni, ci spinge a considerare il “Natale” non come una festa sul calendario, ma come una postura etica, come una nuova idea di comportamenti, di pensiero, di attitudini nei confronti dell’altro.

Se, come sosteneva Hannah Arendt, il miracolo che salva il mondo è il fatto che vi siano degli inizi, la “natalità” come capacità umana di agire e cominciare qualcosa di nuovo diventa promettente. Allora, augurarsi che sia Natale tutto l’anno significa impegnarsi affinché ogni giorno porti con sé la possibilità di una rinascita.

Significa costruire quel “mondo che vorrei” citato nel sottotitolo: un mondo dove le relazioni non sono transazioni, ma legami; dove i sogni non sono fughe dalla realtà, ma progetti di architettura sociale.

Gli artisti in mostra, dunque, non sono soltanto pittori, ma filosofi silenziosi.

Ognuno di loro, attraverso la pittura o la scultura, tenta di ricucire lo strappo tra l’Io e l’Altro.

È qui che l’arte assolve alla sua funzione più alta, quella che Schopenhauer definiva come la capacità di sospendere la ruota dolorosa della volontà per offrirci un istante di pura contemplazione disinteressata.

Ma qui si va oltre. Non c’è solo contemplazione, perché c’è anche l’intenzione.

Immaginare una società migliore tra Natura, Relazioni e Sogni è già di per sé un’azione potentissima, in un mondo fatto di immagine senza senso, di bellezza e successo a ogni costo e di tappe bruciate in pochi istanti.

Sembra un’utopia, vero?

Eppure, il filosofo Ernst Bloch ha dimostrato che l’utopia non è l’irrealizzabile, ma è la “funzione speranza”, è l’anticipazione di ciò che non è ancora, ma che potrebbe essere se solo avessimo il coraggio di desiderarlo collettivamente.

Tradotto per chi mastica poco la filosofia: se non giochi al lotto non puoi lamentarti di non vincere mai né puoi alimentare la speranza di vincere. Prova a giocare e avrai una possibilità.

Questa mostra è un laboratorio di speranza concreta. È la puntata al Lotto.

La presenza di Daniela Bussolino, con la sua “Storia d’Amore a Quattro Zampette”, ci riporterà con i piedi a terra, all’empatia verso gli esseri viventi, a quell’amore incondizionato che spesso impariamo più dagli animali che dai nostri simili. Un richiamo alla semplicità disarmante del bene.

Domenica 7 dicembre, al vernissage di Piazza Stradivari, non si terrà solo l’apertura di uno spazio espositivo, ma si accenderà una luce.

Un invito a trasformare l’eccezionalità della festa nella regola del quotidiano. Perché se riuscissimo, anche solo per un istante, a guardare il volto dell’altro con la stessa sacralità che riserviamo ai giorni di festa, allora avremmo davvero costruito un mondo nuovo.

Dal 7 al 21 dicembre 2025, Cremona diventa il palcoscenico di questo sogno.

Non entrate solo per guardare. Entrate per ricordare che la bellezza è una responsabilità. E che la luce, quella vera, non si spegne quando si ripongono gli addobbi.

GLI ARTISTI PROTAGONISTI

MARIA GRAZIA CIMARDI

Non sono semplici mani, quelle di Maria Grazia Cimardi, ma archivi visibili dove la vita incide le sue mappe silenziose.

Il suo è un realismo che racconta, usando la luce come grammatica.

Un dito stretto da una presa di un bambino è la soglia del mondo, la promessa intatta della vita.

Le spighe raccolte tra due palmi sono la fatica, il peso sacro del sostentamento.

E la pelle senile, percorsa da fiumi di vene e accolta da una carezza più giovane, è il testamento, il passaggio del testimone, il fluire dell’umanità.

Cimardi ferma il respiro nel gesto, condensando decenni in un istante. Ogni vena è un affluente di memoria, ogni ruga un solco dove è passata un’emozione, ogni tocco diventa l’eco di tutte le mani che ci hanno accarezzato, sorretto e lasciato andare, narrando la storia della vita umana.

ALBERTO COSTA

Le opere di Alberto Costa sono un’esperienza tattile, un affondare le mani nella terra umida dell’esistenza.

La sua pittura è materia viva, densa, tormentata; il colore non si posa sulla tela, ma emerge come un rilievo geologico dell’anima, fatto di percezioni e di quel sentire che l’artista mette nelle sue creazioni.

In quel villaggio avvolto dal giallo, la neve non è freddo, ma un silenzio pesante che protegge i ricordi, mentre le case sembrano tremare di una luce interiore, calda e fragile.

I fiori, poi, non sono natura morta, bensì esplosioni di vitalità disperata, grumi di rosso e arancio che urlano contro il nulla, rivendicando il diritto di esserci, qui e ora.

Ogni cromia è una cicatrice di luce, una carezza ruvida che scuote i sensi.

Costa non dipinge la realtà, ma scolpisce la consistenza emotiva del tempo che ci attraversa, ricordandoci che siamo fatti della stessa pasta instabile e meravigliosa dei suoi colori: imperfetti, pesanti, e assolutamente vivi.

CHIARA GALLIANO

Nell’arte di Chiara Galliano si respira la forza del silenzio.

Un silenzio che non è assenza, ma abisso primordiale da cui la vita emerge come un respiro trattenuto e poi, finalmente, liberato.

Nelle sue opere, le foglie diventano anima vegetale che danza sulla caducità dell’eterno divenire del cosmo; sono una ferita di luce dorata contro il velluto del nulla. È un gesto intimo, un sussurro.

Quell’intimità diventa pianeta, una bolla di mondo, fragile come un pensiero, che si libra su campi di aghi che trafiggono il cielo.

La sua arte respira tra la finitezza del corpo e l’infinito del sentire. Chiara Galliano rivela l’universo che è custodito nel dettaglio, mostrandoci quanto noi umani siamo infinitesimamente piccoli rispetto all’universo.

BRUNO GRECO

L’arte di Bruno Greco è una confessione sussurrata.

Nelle sue tele, la luce vive e respira. È un riverbero che si fa strada tra le vertebre silenziose degli alberi, anime viola in attesa dell’alba o del ricordo, dove ogni ombra è il ricordo di una ferita, una nostalgia che si posa a terra con la delicatezza della brina.

È il silenzio che precede la parola. O quello che preferisce estinguerla.

Poi, l’esplosione, con i suoi girasoli, che sono un grido di luce contro il velluto della notte, un atto di pura, violenta affermazione, di energia e di combattività contro le vicissitudini della vita.

Non sono fiori, ma soli che si ribellano al buio, sono metafore delle persone che si impegnano e vivono, incuranti del buio, delle ferite, degli ostacoli.

Sono fiori con petali d’oro e un cuore nero e denso come il mistero da cui nascono.

Bruno Greco ci mostra la duplice natura dell’esistenza, fatta di la malinconia e di genesi.

L’arte di Bruno Greco è la manifestazione della fragile, ostinata meraviglia di esistere, sospesa tra un sussurro e un ricordo, tra l’attesa e la consapevolezza di essere vivo.

ANNA MAINARDI

Nelle opere di Anna Mainardi, la materia smette di essere inerte per farsi cicatrice, vissuto, attesa.

C’è una verticalità dolente in queste figure totemiche, creature ibride nate dall’abbraccio violento tra la fragilità della ceramica e la gravità inesorabile del metallo.

Osservando il busto scuro che si erge su una colonna bianca segnata dal fuoco, sentiamo il peso di un silenzio antico. Quella testa reclinata, priva di volto, non è anonima, ma universale, specchio della nostra stessa malinconia.

L’artista incide la terra come si scriverebbe su un diario segreto, aprendo varchi nel petto o feritoie geometriche che non sono vuoti, ma soglie verso l’abisso che ci abita.

Queste sculture sono respiri trattenuti, sono presenze ieratiche, simili a pedine di una scacchiera importante, la scacchiera della vita. Sono presenze che ci obbligano a fermarci e a riconoscere, nelle loro fratture strutturali, la bellezza tremenda e indistruttibile della nostra vulnerabilità, perché è proprio la vulnerabilità a renderci umani.

SERENA PESCARMONA

L’arte di Serena Pescarmona è una cicatrice nel vero senso della parola. L’artista, infatti, non stende colori con spatole e pennelli, ma utilizza incisori, con cui ferisce il legno e il vetro. Non per violarli, bensì per farne sgorgare un’anima di luce, grazie a un sistema di luci a led che ha brevettato personalmente.

La sua espressione artistica è una confessione. Ogni solco è un ricordo, ogni scheggia una verità taciuta, e la sua luce brevettata non è un artificio, ma l’anima dell’opera che si rivela.

Così, in un battito di ciglia, passiamo dalla tenerezza disarmante di un fiore che vince l’asfalto, alla vertigine del tempo che ci divora, la più perniciosa prigione inventata dall’uomo.

Poi si arriva all’abbraccio che salva il mondo, al grido muto di un NO su un muro di parole d’odio. Ogni pezzo è un frammento di uno specchio puntato su di noi, che ci chiede di riconoscere la nostra fragilità

ROBERTO RAMIREZ ANCHIQUE

L’arte di Roberto Ramirez Anchique è un’immersione nell’essenza delle piccole cose, ascoltando il respiro del mondo.

Le sue non sono tele, ma mappe di un sentire che sutura lo strappo tra la materia povera, come la iuta, il filo, e l’assoluto dell’oro, tra la ferita e la preghiera.

La sua sintassi cromatica è un frammento di memoria, un’archeologia dell’anima.

Esplosioni cromatiche che gridano accanto a silenzi profondi, come nel blu cosmico trapunto di stelle dorate. E poi, quel filo spinato che sorregge la bellezza, potente metafora dell’esistenza umana.

Roberto Ramirez Anchique ci propone la luce nascosta del mondo e ci costringe a sentire il peso e la leggerezza dell’essenza della vita, che è vagare in un labirinto in cerca della propria meta.

CHIARA MARIA ROSSETTI

Guardare le opere di Chiara Maria Rossetti è come ascoltare un ricordo che affiora lentamente dall’acqua, incerto se restare o svanire, tra il fruscio del vento e il dondolio delle onde.

L’artista non dipinge marine, ma stati d’animo liquidi.

Nella tela dominata dall’azzurro, l’atmosfera non è colore, ma ossigeno rarefatto; le imbarcazioni sono emozioni, graffi verticali che tentano di ancorare la realtà, mentre una nube rosa, tenera e crudele, suggerisce un’alba o forse un addio. Comunque, un cambiamento.

C’è un silenzio assordante, una sospensione che toglie il fiato.

Nell’altra opera, la materia si fa carne viva. Il viola e il magenta ingoiano la luce in un tumulto emotivo, per cui l’orizzonte è una ferita scura, una costa frastagliata che trema sul confine del visibile, specchiandosi in un abisso violaceo. Chiara Maria Rossetti lavora tra la forma e la sua dissoluzione, tra ciò che vediamo e ciò che sentiamo mancare.

Con il suo linguaggio, scrosta la superficie del mondo per rivelarne la malinconica, luminosa essenza.

MARIA ANTONIETTA ROSSI

Nelle opere di Maria Antonietta Rossi, la tela non è un semplice supporto, ma è un’epidermide, una pelle viva e ruvida che trattiene le cicatrici del tempo, le storie, le angosce, i tormenti, le gioie. La tela è un’enciclopedia delle emozioni.

Non c’è finzione in questa iuta grezza, perché è materia onesta, un sudario che accoglie il silenzio assordante del bianco e l’urlo improvviso, viscerale, del rosso, per raccontare la verità.

Guardare questi lavori è come sfiorare una ferita che si sta rimarginando, o abbracciare chi sta piangendo.

La stratificazione dei materiali non nasconde, ma custodisce; è un’archeologia dell’intimo dove ogni filo sfilacciato è un ricordo che resiste all’oblio.

C’è una tensione filosofica tra il pieno materico e il vuoto esistenziale, una geometria imperfetta che ricalca la nostra stessa fragilità. Maria Antonietta Rossi non dipinge immagini, ma stati d’essere. Ci costringe a una pausa, invitandoci a riconoscere, in quegli strappi e in quelle suture, la geografia segreta della nostra stessa anima.

SIMONA SARAO

Simona Sarao scuoia il silenzio per rivelare cosa pulsa sotto la pelle delle cose, per mostrarci l’essenza, la verità nuda e cruda.

C’è un’urgenza quasi violenta nella sua espressione artistica, così quel muro di mattoni che lacera il bianco non è architettura, ma è la membrana che riveste la nostra anima, che preme per urlare la propria esistenza. È una ferita che si fa feritoia, un invito a guardare dentro gli altri, ma anche dentro sé stessi.

Eppure, questa tensione materica si scioglie nella dolcezza liquida dei suoi blu. Negli amanti sommersi o nei riflessi lunari, il colore diventa liquido amniotico, una carezza che perdona, che accoglie.

Sarao danza sul filo del rasoio tra la brutalità del reale e l’etereo del sogno.

La sua arte non chiede di essere capita, ma di essere percepita come un battito d’ali di farfalla.

Ci ricorda che siamo fatti di vicissitudini, ma anche della capacità di riparare le ferite per riprendere il cammino.

MARIA VACCARI

L’espressione artistica di Maria Vaccari è un’arte di sopravvivenza, un atto di fede nel frammento umano che resiste alle mode e alla deriva culturale del nostro tempo.

Le sue tele sono crepe nel reale da cui filtra una luce ostinata, quasi dolente. L’artista non dipinge scene, ma soglie tra la devastazione e un dono di Natale, un amore che è l’ultimo riparo quando la guerra incombe; quella tra l’indifferenza del cemento e una mano tesa, unico calore in una città dilaniata.

I suoi colori sono vagiti dell’anima, a volte cruda, scabra, come le macerie, prepotente nella sua denuncia contro la follia della guerra; altre volte tenera, quasi un sussurro, come i volti degli amanti racchiusi in bolle di memoria.

Maria Vaccari non racconta semplici storie, ma scava fino a trovare il battito che le tiene in vita, per mostrarci la potenza tenera della fragilità umana.

ATTILIO ZANANGELI

Nei paesaggi metafisici di Attilio Zanangeli, c’è una tensione ancestrale tra il rosso della terra, che è carne viva, è passione che brucia, e l’azzurro di un cielo che è pura attesa, un silenzio liquido.

Le sue figure, esili come l’ombra di un respiro, evocano una solitudine riflessiva. Sono esseri scarnificati, ridotti all’essenziale per poter sostenere il peso dell’infinito. Il peso della vita.

Gli alberi non sono legno e foglie, ma filigrane d’oro, arterie luminose che tentano disperatamente di ricucire lo strappo tra il suolo e l’altrove.

Quella di Zanangeli è un’arte che agisce per sottrazione: toglie il rumore del mondo per lasciarci nudi di fronte al mistero.

Quelle farfalle dorate ascendono come preghiere, le nostre preghiere.

Attilio Zanangeli ci invita a toccare la nostra fragilità, mostrandoci che proprio nelle nostre crepe si trova la luce più preziosa.

La sua espressione artistica è una carezza visiva che consola la ferita dell’esistere.

E CON LA PARTECIPAZIONE DI DANIELA BUSSOLINO

L’artista, che è una pittrice, presenterà anche la sua prima fatica letteraria, “Una Storia d’Amore a Quattro Zampette”, un libro emozionante con cui l’autrice racconta la sua vita con Cristal, una coniglietta che ha vissuto con lei come una figlia.

Puoi scoprire di più leggendo questo articolo: https://tamagozine.org/2025/11/24/la-forza-della-tenerezza-daniela-bussolino-e-la-nostra-sopravvivenza-emotiva/

GLI ORGANIZZATORI

PROF.SSA DANIELA BELLONI

Ex insegnante di Disegno e Storia dell’Arte, vincitrice di concorso a cattedra, Vice preside per dieci anni presso l’Istituto Comprensivo di Pizzighettone (CR).
Ora, per volontariato e passione, curatrice dello Spazio Gabetti in arte, in Piazza Stradivari a Cremona.

DOTT. PASQUALE DI MATTEO

Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

IMMAGINI DAL VERNISSAGE

ARTICOLO SU TAMAGO-ZINE DEL VERNISSAGE

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IL VIDEO DEL VERNISSAGE